"Il sangue è solo un liquido?" di Carlo Sorgia
Prefazione a cura di Maria Rizzi Carlo Sorgia, nei tempi “liquidi” che viviamo e che, come afferma il sociologo Bauman, rendono anche i sentimenti qualcosa di fluido da consumare al pari dei beni materiali, sceglie un romanzo difficile e didattico. Si racconta. E, in particolare, narra la vicenda quasi incredibile dell’esistenza sua e della moglie Silvana,improntata sulla base di valori tanto profondi da apparire anacronistici. Il romanzo “Il sangue è solo un liquido?” è la storia di un’adozione avvenuta non per sopperire all’assenza del dono della paternità e della maternità, ma per compiere un atto d’amore verso una bimba meno fortunata dei loro due figli biologici. La storia di Silvia, alias Luisa, è di una purezza disarmante. E non è una vicenda concepita negli anni della maturità,del benessere economico che caratterizza il contesto familiare, bensì un evento che affonda le radici nella gioventù dei due protagonisti, chiamati per esigenze narrativeEnzo e Silvana. Ho trovato commovente la promessa che i due fidanzati si scambiano nel corso dei loro incontri, delle serate che trascorrono, non solo scambiandosi effusioni e promettendosi “amore eterno”, ma recandosi negli orfanatrofi per donare carezze e sorrisi ai bimbi “del dolore e della solitudine” e giurando che in futuro combatteranno per salvare almeno una di quelle creature… Da lettrice devo confessare che non avevo mai letto una storia simile. I nostri protagonisti possiedono una luce che li ha accomunati dai primi incontri e che, nel corso del tempo, hanno diviso con tanti altri esseri umani. Mi sembra importante che decidano di dividerla con i lettori. Mi sembra ancora più importante che la protagonista della vicenda abbia acconsentito a rendere pubblico il suo lungo percorso sulle orme dell’amore. In alcuni momenti della lettura si ha l’esigenza di bloccare tutti i pensieri e di respirare profondamente. Nel respiro vi sono l’incenso della fede, il salmastro dell’aria di mare che il nostro Autore ama tanto, e vi sono lo stupore l’emozione per lo srotolarsi degli eventi. Il cuore batte all’impazzata, all’unisono con quelli dei protagonisti. E ogni cinismo deve cedere il passo all’evidenza del vero. In una società tesa a infinite, motivate denunce, occorre sapersi fermare ad ascoltare la musica della bellezza. è necessario riconoscere che esistono moltissimi “eroi nascosti”, silenziosi, che danno senso al nostro essere uomini. E grazie a Enzo, Silvana, Luisa, i suoi numerosi parenti biologici e acquisiti, si arriva a credere che esista un posto dove finisce l’arcobaleno, dove i colori si uniscono alla terra! E ci si sente salvi. Tengo a precisare che non sono incline ad avallare i romanzi strettamente autobiografici, ma nel caso di Carlo Sorgia mi assumo la responsabilità di averlo spronato ad andare avanti e, a lavoro compiuto, credo proprio di non potermi pentire. Le parole possono essere le armi più pericolose del mondo. Con esse si può arrivare ai cuori delle persone e condizionarle. Se si volesse applicare questo assioma alla storia di Luisa, le parole sarebbero da considerare perle di una preziosissima collana. Potrebbero indurre a riflettere sul senso effettivo dell’amore, che rischia di divenire un termine “povero” e inflazionato. Il romanzo a livello stilistico viaggia su un registro moderno e fruibile. Ricorre anche al metodo dialogico di Facebook per narrare l’incontro tra la protagonista e la prima sorella biologica. La chiave narrativa semplice, mai semplicistica, di impatto immediato, caratterizzata da flashback iniziali che introducono la storia e da “salti” emotivi accuratamente studiati, risulta avvincente e si rivela un unicum nel panorama letterario attuale. L’Autore, reduce da un lungo racconto - “A cavallo della vita” - caratterizzato da un impianto più classico, si cimenta nel romanzo realista del Duemila. Non esita, comunque, a regalarci momenti di profondo lirismo, che fungono da cornice e da superbe stilettate narrative. Maria Rizzi |
Articolo del 4 dicembre su La Provincia Pavese
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